lunedì 16 marzo 2009

I Piccoli Rivoluzionari

di Silvia Nitti

Il professor Finelli dell'università di Roma tre pensa che il Marx del Capitale, sia quello che realmente può essere utile ancora, e soprattutto, oggi per leggere la realtà.
Hegel pensava che la filosofia nascesse “in determinate circostanze di lacerazione, in epoche in cui c'è bisogno di una sintesi, una ricomposizione delle vite”.
Il Marx con il quale noi “giovani di sinistra” siamo abituati a ragionare non è quello della filosofia, bensì quello che riteneva sé stesso un non filosofo, un politico, un fautore della “praxis rivoluzionaria”.
Ma sappiamo bene come la politica marxista abbia dimostrato il suo fallimento, messa di fronte alla realtà della storia.
Anche dal punto di vista economico la sua visione ha molte pecche. Il Capitalismo ha dato prova di saper rigenerare sé stesso con molto più vigore del necessario alla sua sopravvivenza, in una spaventosa progressione geometrica!
Pertanto il prof. ci insegna che, con buona pace del caro Karlo, quello che di lui possiamo riprendere è proprio la filosofia.
È il pensiero del Marx filosofo che ci insegna, precorrendo notevolmente i tempi, come il Capitale sia “fattore astratto della socializzazione” e, in quanto tale, fautore di una ricchezza astratta che solo apparentemente produce beni materiali. Il vero obiettivo del Capitale è la sua stessa riproduzione. Come Finelli fa notare, questo Capitale, così definito e inteso, assomiglia molto allo Spirito di hegeliana memoria, capace di omologare tutto a sé stesso.
Non intravediamo in questo disegno già un abbozzo della società globalizzata e capitalistica che sta portando l'uomo alla distruzione, nei nostri floridi giorni?
E non è forse da intendere nei termini di un grande Spirito Capitalistico la società che ha sacrificato la sovrastruttura in nome della struttura?
La società capitalistica non solo è in grado di sopravvivere a sé stessa, ma anche di espandersi in tutti i campi della vita umana, quindi anche nella sua produzione mentale.
“È la fabbrica a definire cosa è morale e cosa no”, dice Finelli. Con la globalizzazione, il processo non ha potuto che ingigantirsi. Questo “americanismo senza America”, di cui oggi siamo i non più tanto attenti osservatori, ci racconta di una società che può andare avanti floridamente senza bisogno di un ceto di intellettuali che spieghino le lacerazioni del nostro tempo.
Ed ecco che ci troviamo catapultati in una realtà fatta di paillettes, per usare le parole del professore, di esteriorità e superficialità, dove l'uomo liberato dalle incombenze del lavoro manuale si può occupare di imbellettare il suo involucro. Senza più un ceto di intellettuali capaci di spiegare il mondo, si produce una feroce discrepanza tra l'essenza della vita e la percezione di essa. Così, ciò che è importante non è più la produzione creativa dell'uomo attraverso i nuovi mezzi della tecnologia moderna, ma un'incessante sviluppo di “capacità logico-discorsive” fini a sé stesse, elaborate da cervelli sempre più simili a macchine.
Mentre il moderno esalta il corpo, il postmoderno esalta la mente, disegnando perfettamente il passaggio dal fordismo al postfordismo. Ma, invece di mettere a frutto le esaltanti possibilità dell'uomo libero dalla fatica della catena di montaggio, il postmoderno si incancrenisce nella riproduzione sterile di un'infinità negativa, nascondendosi tanto bene da non far neanche percepire tale passaggio.
In realtà, ci svela Finelli, non esiste discontinuità tra moderno e postmoderno, l'uno è la naturale prosecuzione dell'altro. Abbiamo solo lasciato che lo spirito maligno del grande Pacman capitalistico prendesse il sopravvento e divorasse la nostra anima pensante.
“Bisogna pensare ad una teoria della soggettività che va costruita e non presupposta alla storia!”
Alla luce di queste illuminazioni io penso che la nostra capacità di rimanere soggetti pensanti, nonostante tutto, in grado di riempire concretamente il nostro tempo senza farcene divorare, si possa esplicare a patto di abbandonare “false friends” mitologici come la lotta di classe o la rivoluzione di popolo. Viviamo in un tempo in cui la complessità è diventata la chiave di volta dell'intero sistema. Rifarci a categorie vecchie e aderenti ad una forma di mondo talmente sorpassata da diventare, appunto, mito, non solo è un'operazione logicamente sbagliata, ma anche molto pericolosa, perchè significa semplificare un mondo che di semplice ha solo la superficialità dei suoi strass...

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